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I relatori. Da sinistra a destra: Franco Alioto, Don Vincenzo Cammarota, Marcello Olivetti, Maria Grazia Alagna Varvaro

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CONVEGNO "L'AMORE LINGUAGGIO UNIVERSALE"
Hopps Hotel - Mazara del Vallo
Domenica 15 aprile 2012 - ore 18.00

PROGRAMMA

Coordinatore
Marcello Olivetti
Esperto in formazione

Relatori
Franco Alioto
Presidente "Amunì" (onlus)
"Progetto Uripa"

Don Vincenzo Cammarota
"Gli effetti della società secolarizzata"

Maria Grazia Alagna Varvaro
Amministratore di azienda e socio UNITALSI
"Oltre la filantropia"

   

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ATTI DEL CONVEGNO
OLTRE LA FILANTROPIA
(di Maria Grazia Alagna Varvaro)

La parola di origine greca letteralmente indicherebbe amore per l’uomo - da filia (amore) e antropos (uomo). In realtà però nell’accezione comune il termine rimanda a quelle attività benefiche portate avanti in tanti contesti e a diversi livelli che risultano oggettivamente un bene per coloro che ne beneficiano ma non necessariamente implicano un voler bene da parte di coloro che le mettono in pratica ma possono invece essere dettate da molteplici fattori: dal più nobile come può essere quello della giustizia sociale, a quello politico con possibili implicazioni di eventuali tornaconti elettorali, o da motivazioni sposate da grandi organizzazioni internazionali che vogliono assicurare equilibri politici ed economici per calmierare  le grandi sacche di povertà che potrebbero essere sfruttate da movimenti terroristici, o più semplicemente per favorirne uno sviluppo economico del quale potersi avvantaggiare, o ancora perché attraverso certe  organizzazioni si possono raccogliere grossissimi flussi di danaro di cui poi avvantaggiarsi in una certa misura; e in ultimo e non ultimo, per semplice orgoglio personale o per l’attrazione che il potere nella sua gestione sia pure a fine di bene ha su ognuno di noi.

Queste brevi considerazioni già basterebbero a giustificare le giustificate perplessità che suscita in sé ogni iniziativa benefica che ci viene proposta in un mondo in cui poi, più che di ETICA DEL BENE COMUNE ci vediamo circondati dall’ETICA DEL PROFITTO, DEL TORNACONTO PERSONALE, DEL PROPRIO PIACERE, e se possibile subito e ad ogni costo. Per non parlare poi che per fare DEL BENE dovremmo prima metterci d’accordo su cosa è bene o male in una società che ha fatto del RELATIVISMO ETICO il suo leit motif. Infatti potremmo ritenere un Bene perfino l’ABORTO o Le CAMPAGNE ANTICONCEZIONALI  O ADDIRITTURA QUEGLI INCENTIVI ECONOMICI DATI ALLE SOLE FAMIGLIE CHE NON PROCREANO PIU’ DI UN FIGLIO come un bene per risolvere il problema della povertà, della fame nel mondo, o della sovrappopolazione del pianeta. Ma anche se ci mettessimo d’accordo e condividessimo obiettivi comuni per il perseguimento di un bene condiviso a favore di qualcuno, e se riuscissimo a trovare persone dalla moralità ineccepibile che le possano portare avanti nel momento in cui si passa dal generale al particolare, dalla programmazione all’azione concreta sul territorio e sulle persone, e cominciamo a incontrarle per offrire loro quel bene che ci eravamo prefissi, ci troveremo di fronte due occhi come i nostri che ci guardano e ci chiedono di più - molto di più. Ci chiedono condivisione di tutti i loro bisogni materiali e spirituali. Ci mostrano il loro dolore che non sempre il nostro semplice aiuto materiale può alleviare. Ci mostrano quella stessa ansia di felicità che c’è nel nostro cuore, la stessa paura per la malattia e per la morte, le stesse ferite causate dalla mancanza di amore da parte dei nostri cari. Ci chiedono di alimentare la speranza che è l’unica luce che si può avere nel buio del dolore, della malattia, della fame o della guerra o del lutto! Inoltre metterci in contatto con le realtà di sottosviluppo, degrado morale, ingiustizia sociale, può generare un sentimento di piccolezza e di esiguità che può paralizzarci, avendo ben evidente che stiamo lavorando con poche gocce su un mare! E tuttavia chi ha fatto una forte esperienza personale di volontariato e di incontro personale col povero o malato che ha di fronte, immediatamente fa esperienza di una rigenerante edificazione del proprio spirito che passa prima da un dirozzamento del proprio cuore che avviene attraverso la condivisione della sofferenza dell’altro attraverso una nostra personale sofferenza. Quando il nostro cuore comincerà a piangere con lui e ci pentiremo dei nostri lussi di fronte alle altrui indigenze o delle nostre inutili lamentele  di fronte alle altrui angosce e dolori allora - solo allora - sperimenteremo LA CARITA’ che è la forma più alta di amore che possiamo donare all’altro insieme a quella piccola porzione di bene che stiamo facendo. Dice BENEDETTO XVI nell’introduzione all’enciclica “Caritas in veritate” che la carità nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. L’amore <caritas> e’ una forza straordinaria che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace: è una forza che ha la sua origine in Dio, amore eterno e verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui. IN TALE PROGETTO egli TROVA LA SUA VERITA’ ed è ADERENDO A TALE VERITA’ che egli DIVENTA LIBERO……. Tutti gli uomini avvertono l’impulso di amare in modo autentico,  amore e verità sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. E nella precedente enciclica DEUS CARITAS EST  il Papa aveva affermato “DIO E’ CARITA’, DALLA CARITA’ DI DIO TUTTO PROVIENE, PER ESSA TUTTO PRENDE FORMA, AD ESSA TUTTO TENDE. La Carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini; è sua promessa; è nostra speranza……La verità è la luce che dà valore alla carità …. è la luce della ragione e della fede attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale  e soprannaturale  della carità e ne coglie il significato di donazione, accoglienza, comunione.

La carità - da caris (grazia) - è amore ricevuto e donato. La sua scaturigine è l’amore sorgivo del Padre per il Figlio nello Spirito Santo. E’ amore creatore per cui noi siamo, è amore redentore, per cui siamo ricreati, è amore riversato nei nostri cuori per mezzo dello spirito santo.

A questa dinamica di CARITA’ RICEVUTA E DONATA risponde la DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA. Essa è “CARITAS IN VERITATE IN RE SOCIALI”, ANNUNCIO DELLA VERITA’ DELL’AMORE DI CRISTO NELLA SOCIETA’, è il principio intorno al quale ruota la dottrina sociale della chiesa.

La carità eccede la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è suo. Non posso donare all’altro del mio senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia… La giustizia è la prima via della carità o come ebbe a dire Paolo VI “La misura minima di essa”. Essa si adopera per la “città dell’uomo” secondo diritto e giustizia. Dall’altra LA CARITA’ SUPERA LA GIUSTIZIA E LA COMPLETA NELLA LOGICA DEL DONO E DEL PERDONO.

LA CARITA’manifesta sempre anche NELLE RELAZIONI UMANE L’AMORE DI DIO, dà  valore teologale ad ogni impegno di giustizia nel mondo. Accanto al bene personale c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: IL BENE COMUNE. ADOPERARSI PER ESSO E’ ESIGENZA DI GIUSTIZIA E DI CARITA’.

Nel 1967 Paolo VI pubblicando la POPULORUM PROGRESSIO ha illuminato il grande tema dello sviluppo dei popoli con la luce soave DELLA CARITA’ di CRISTO, ha affermato che L’ANNUNCIO DI CRISTO è il PRIMO E PRINCIPALE FATTORE DI SVILUPPO  e ci ha lasciato la consegna di camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra intelligenza - vale a dire CON L’ARDORE DELLA CARITA’ E LA SAPIENZA DELLA VERITA’ .

E’ LA VERITA’ ORIGINARIA DELL’AMORE DI DIO, GRAZIA A NOI DONATA CHE APRE LA NOSTRA VITA AL DONO E RENDE POSSIBILE SPERARE IN UNO SVILUPPO DI TUTTO L’UOMO E DI TUTTI GLI UOMINI (Benedetto XVI “Caritas in veritate”).

Il rischio del nostro tempo continua il Papa è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini data dalla globalizzazione.

NON CORRISPONDA L’INTERAZIONE ETICA DELLE COSCIENZE.

Solo con la carità illuminata dalla luce della ragione e della fede è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana ed umanizzante.  

Nella Populorum progressio Paolo VI ci comunica due grandi verità. La prima è che quando la chiesa opera nella carità è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo.

La seconda è che l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione e cioè che senza la prospettiva della vita eterna il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro.

L’uomo non si sviluppa con le sue sole forze, né lo sviluppo gli può essere dato semplicemente dall’esterno.

Lungo la storia spesso si è ritenuto che la creazione di istituzioni fosse sufficiente a garantire all’umanità il soddisfacimento del diritto allo sviluppo. Si è riposto in esse una eccessiva fiducia.

Le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano è anzitutto vocazione, e  comporta una libera assunzione di responsabilità da parte di tutti.

Tale sviluppo richiede una visione trascendente della persona che ha bisogno di Dio. Senza di lui  lo sviluppo viene negato, cade nella presunzione dell’auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato.

D’altronde, solo l’incontro con Dio permette di vedere nell’altro l’immagine divina e maturare un amore che diventa cura per l’altro.

Le cause del sottosviluppo non sono primariamente di carattere materiale,  ma si possono ritrovare nella volontà che disattende i doveri di solidarietà e nel pensiero che non sa orientare convenientemente il volere.

Occorrono uomini di pensiero capaci di riflessione profonda votati alla ricerca di un umanesimo nuovo che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso.

Inoltre il sottosviluppo ha una causa più importante della mancanza di pensiero ed è la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra popoli. La società sempre più globalizzata ci rende vicini ma non fratelli, questa ha origine in una visione trascendente di Dio, padre di tutti gli uomini.

La carità invece intesa come amore di Dio effuso nei nostri cuori è matrice fondante della fraternità, tuttavia solo nella verità la carità risplende!

S. Paolo nella prima lettera ai Romani ci esorta: ”… la carità non abbia finzioni, gareggiate nello stimarvi a vicenda…”. Padre Cantalamessa nel  libro “La vita in Cristo”,  nel capitolo di commento a questa esortazione apostolica ci svela la profondità e le esigenze della carità cristiana.

“La carità non abbia finzioni (RM  12,9 )…. Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno. Gareggiate nello stimarvi a vicenda.

Dice Cantalamessa: “La carità è frutto dello Spirito in quanto virtù acquisita mediante lo sforzo ripetuto della libertà che collabora con la grazia”.

L’esortazione LA CARITA’ NON ABBIA FINZIONI non è una delle tante, ma è la matrice da cui derivano tutte le altre, contiene il SEGRETO DELLA CARITA’. Il termine originale usato da S. Paolo anipocritos  cioè SENZA IPOCRISIA.

UN AMORE SINCERO come il vino buono deve essere spremuto dall’uva, così l’AMORE DAL CUORE.

In ciò l’apostolo è l’eco fedele di Gesù che aveva indicato il CUORE COME IL LUOGO IN CUI SI DECIDE IL VALORE DI CIO’ CHE L’UOMO FA.

Dietro l’universo visibile ed esteriore della carità fatto di opere e parole, c’è un universo interiore, che è nei confronti del primo ciò che l’anima è per il corpo. E’ a questa carità interiore che si ispira S. Paolo quando ci spiega come deve essere la carità ”E’ paziente, benigna, non è invidiosa, tutto copre tutto spera”. Nulla che riguardi di per se direttamente il fare del bene e le opere di carità ma tutto è ricondotto alla radice del volere bene.

LA BENEVOLENZA VIENE PRIMA DELLA BENEFICENZA e l’apostolo ci ricorda come il più grande atto di carità esteriore come DISTRIBUIRE AI POVERI TUTTE LE PROPRIE  SOSTANZE non gioverebbe a nulla a chi lo compie (anche se giova sempre ai poveri) se non avesse la CARITA’.

LA CARITA’ IPOCRITA E’ QUELLA CHE FA DEL BENE SENZA VOLERE BENE; CHE MOSTRA ALL’ESTERNO QUALCOSA CHE NON HA NEL CUORE; può nascondere egoismo, ricerca di sé, o semplicemente rimorso.

E tuttavia sarebbe un errore contrapporre tra loro carità del cuore e carità dei fatti, o rifugiarsi nella carità interiore  per avere un alibi alla mancanza di carità effettiva, sappiamo con quanto vigore GESU’ ci spinga alla carità fattiva (MT 25,31-46 Il giudizio finale). Quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: “Venite, benedetti dal Padre mio. Ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: ”Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Rispondendo il Re dirà loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli alla sua sinistra: “Via, lontano da me maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Quando mai, signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, o forestiero o nudo, malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?”. Ma egli risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

O pensiamo alla parabola della dieci Vergini, 5 sagge e 5 stolte. Quando arriva lo sposo non possono andargli incontro, perché le loro lampade si sono spente, manca loro l’olio delle buone opere e dell’amore. O ancora pensiamo alla bellissima lettera di S. Giacomo 1, 14-17 che ci ammonisce: “Se un fratello o una sorella si trovano senza vestito o mancanti di cibo e qualcuno di voi dicesse loro: ,arrivederci andate in pace, scaldatevi e saziatevi da voi che utilità ne avreste,così la fede senza le opere è morta”.

S. Paolo vuole che i cristiani siano radicati nella carità. DIO STESSO HA STABILITO ”AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO”  perché l’uomo può barare con l’amore verso Dio ma non con quello verso se stesso.

Dice Cantalamessa: “Amare sinceramente significa amare a quella profondità laddove non puoi mentire perché sei solo con te stesso”.

Il prossimo diventa prossimo perché me lo porto dentro nel cuore, anche quando sono solo con Dio, il prossimo diventa intimo.

Questa è la massima dignità che si possa accordare a un‘altra persona, ed è attraverso la carità che Dio ha realizzato questa cosa sublime. Essa prelude alla comunione dei santi, quando ognuno di noi sarà per amore in tutti, e tutti in ognuno e la gioia di ognuno sarà moltiplicata per la gioia di tutti.

Un amore sincero è un riflesso dell’amore di Dio. Dio infatti ci porta nel cuore, ci ha fatto del bene perché ci voleva bene.

Per essere genuina la carità cristiana deve sempre partire dal cuore: le opere di misericordia da viscere di misericordia (Col. 3,12)

Si tratta di qualcosa di più che PSICOLOGICO, di più di una INTERIORIZZAZIONE DELL’ALTRO.

Le profondità dell’uomo sono diventate per l’inabitazione dello spirito santo profondità di Dio:

Dio ci aveva promesso che ci avrebbe dato un cuore nuovo (Ezech. 36).

Ora questo cuore nuovo datoci col battesimo bisogna farlo entrare in azione!

Quando amiamo l’agire umano è deificato.

“L’amore  di  Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Romani 5,5).

Noi amiamo gli altri con lo stesso amore col quale Dio ci ama.

Noi consoliamo con la stessa consolazione con la quale siamo consolati.

Noi amiamo con l’amore di Cristo, nostra speranza, via, verità e vita.

Concludiamo con S. Paolo: “Non sono più io che amo ma è Cristo che ama in me!”.

L’agape che discende dalla sorgente eterna della Trinità vuole abitare nel nostro cuore nuovo.

Facciamoci un augurio!

Mettiamo in azione il cuore nuovo! Mettiamo a tacere il vecchio! Il mondo nuovo non si realizzerà fuori dell’uomo se prima non si è realizzato dentro di lui nel suo cuore!

Queste crisi mondiali sono crisi di Santi! (S. José Maria Escrivà).