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PREFAZIONE DI EDVIGE RIPA  

Un gruppo di amici si ritrovano ogni giovedì pomeriggio a casa di un’amica comune. Al piacere di stare insieme uniscono l’amore per la letteratura e la poesia. Hanno costituito un piccolo cenacolo letterario in cui leggono, commentano, si scambiano opinioni, conversano e… scrivono anche.

Fanno tutti parte dell’Associazione “Alchimie”, ma sono anche amici di vecchia conoscenza che, quasi tutti in pensione, continuano ad impegnarsi con trasporto in attività socio-culturali.

Benché abbiano deciso di essere giovani (“Ad essere giovani s’impara da adulti” è il motto dell’Associazione) sono quasi tutti in là con gli anni, nell’età in cui i sensi dell’anima si affinano, i sentimenti si rafforzano, l’età in cui affiorano i ricordi, la nostalgia si fa forte, qualche rimpianto emerge. Hanno la sensazione che il tempo stia volando via velocemente e vorrebbero fermarlo in qualche modo.

Emerge in loro spontaneo il desiderio di scrivere, di liberare la fantasia, di fissare ricordi e sensazioni che sono rimasti inespressi in un angolo della mente.

Nasce così questa raccolta di racconti che mette insieme le composizioni di ognuno di loro e li fissa per sempre sulla pagina scritta.

Che vengano letti o no, questi racconti nel momento stesso in cui sono stati scritti hanno già ottemperato allo scopo per cui sono nati. Se poi riusciranno anche a suscitare qualche emozione in chi li leggerà, saranno andati ben oltre le aspettative per cui hanno preso vita. Ciò costituirà un motivo di orgoglio per gli autori che, pur senza velleità artistiche, hanno sentito la voglia di pubblicarli.

I temi trattati sono vari e disparati e la disposizione dei racconti non segue un filo logico prefissato ma a racconti di pura immaginazione si alternano episodi realmente accaduti, da paesaggi d’altri tempi si passa ad ambientazioni modernissime e attuali. Succede persino che due di questi racconti abbiano lo stesso titolo e narrino il medesimo episodio familiare, ciò a dimostrazione di come le autrici si siano divertite a fare le scrittrici, giocando su un terreno comune.

Anche gli stili espositivi sono vari e riflettono la diversità degli autori che provengono da ambiti professionali diversi, ma sono accomunati dall’amore per la scrittura.

Il nome che dà il titolo alla raccolta “L’Acciuffasogni” è il titolo di uno dei racconti, ma è anche il modo simbolico per incitare il lettore ad “acciuffare” i propri sogni, lasciando libera l’immaginazione e la capacità di stupirsi.



COSI' NE HA PARLATO MARIA LISMA DURANTE LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO

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La dott.ssa Maria Lisma, Psicologa, si è così espressa durante la presentazione del volume, avvenuta il 26 aprile 2016 presso il Teatro Garibaldi a Mazara del Vallo.

“Queste pagine confermano come tutte le storie siano degne di essere narrate quando c'è qualcuno che le sa narrare, che fa pratica con le parole perché, messe in fila, esse possano svelare pensieri e ricordi e desideri. La memoria si fa coscienza e la fantasia si fa speranza”.

…ci sono molte anime in questa creatura: la nostalgia, la memoria, l’ironia, la famiglia, la fantasia, l’amicizia, il dolore e, infine, l’anima dell’amore. L'amore di una stagione e l'amore eterno, quello rubato e quello perduto, quello sognato e quello custodito, quello straniero e quello estraneo…”.                                                     

…La bellezza, in questo libro, non è solo nelle pagine, fra le righe, nelle parole. La bellezza è, ancor prima […], nel gesto che lo ha generato. Nell’intenzione iniziale, nel movimento che lo ha partorito. La bellezza è nel dono”.

…esso mostra mille sfumature […]. In alcuni punti è intenso e profondo, in altri volteggia lieve senza posarsi […]. Ancora da qualche parte si apre a molte possibilità mentre da altre parti si chiude ripiegato in se stesso”.

“Una raccolta di doni che non si spiegano.

Si offrono, si accolgono”.

 

“Le parole educano, costruiscono, edificano coscienze, curano, guariscono, consolano, fanno le rivoluzioni e feriscono, uccidono, nascondono, mentono, tradiscono, ingannano, ingiuriano, diffamano… Ma quando amano profondamente, salvano l’anima”.

 

“Questo libro mi ha lasciato, soprattutto, il coraggio di mettersi in gioco, con l'umiltà della consapevolezza di quell'età matura, propria delle persone che cercano senza smettere di trovare e trovano senza smettere di cercare, come diceva Sant'Agostino”.

 

“Ci insegnavano a scuola che la storia inizia dove iniziano le tracce, i segni… Ecco, in questo libro 11 persone, 11 come il titolo di una delle storie, hanno lasciato 35 tracce.

Vi invito a leggerle e a farle leggere”.

Un racconto di Giuseppa Ripa
"ELEVEN"


Vittorio e Silvano si erano meritati una vacanza-premio a Riga come riconoscimento della loro produttività da parte dell’azienda presso la quale lavoravano da quasi dodici anni.

— Tutto pronto per domani? — chiese Silvano, sempre molto apprensivo nei riguardi di Vittorio che sapeva un po’ svanito e giocherellone quando era lontano dal lavoro.            
— Sì, sì, certo. Non vedo l’ora! Dobbiamo divertirci a Riga!

La spensieratezza con cui Vittorio affrontava il viaggio faceva quasi invidia a Silvano, sempre così attento e misurato. Avrebbe voluto, anche lui, essere entusiasta come l’amico, ma non riusciva a rilassarsi a tal punto. Egli era sempre pronto a frenare gli entusiasmi di Vittorio, tanto quanto erano i tentativi di Vittorio di svegliare l’amico dal suo torpore e dalla sua flemma.

In aereo Silvano prese posto nelle prime file, quasi dispiaciuto che a Vittorio fosse toccato il 22C. Dopo qualche minuto, però, l’hostess pregò Vittorio di cedere il posto al figlio del signore accanto e così Vittorio si ritrovò, giusto caso, accanto a Silvano. La conversazione fu piacevole e il viaggio sembrò brevissimo. La loro avventura iniziava. Non si erano mai concessi un viaggio così lungo. Il loro impegno e la loro professionalità erano stati ampiamente e giustamente premiati. Quel viaggio premio aveva intrinsecamente un significato che esulava dal puro riconoscimento di un’attività lavorativa proficua per l’azienda. Entrambi la vivevano come un dovuto riconoscimento ad anni di sacrifici, di rinunce, di costanza e abnegazione. Entrambi stacanovisti incalliti, ora godevano del meritato riposo.

L’albergo a Riga era un po’ decentrato, tuttavia di ottimo livello e subito Vittorio e Silvano si stabilirono nelle loro camere al 119 e 120. Due suite attigue, con una porta comunicante. L’azienda non si era risparmiata nel rendere il loro soggiorno quanto più confortevole possibile.

Nel pomeriggio, una prima escursione per la città col 47 del servizio pubblico; riuscirono a farsi un’idea degli spazi e degli edifici più belli della città nordica che, coi suoi innumerevoli edifici Art Nouveau, non ha paragoni al mondo. A sera tornarono in taxi. I 29 euro pagati per tornare in albergo sembrarono un po’ tanti a Vittorio, sempre molto attento alle spese; ma non proferì parola. Silvano aveva la cassa comune e non si era lamentato minimamente del costo della corsa che, per una città come Riga, a parere di Vittorio era un po’ esoso.

Il giorno successivo la città offrì agli occhi dei due turisti tutta la sua magnificenza. Non a torto, pensò Vittorio, veniva chiamata la Parigi del nord. Sotto un timido, pallido sole di inizio novembre, il clima era reso frizzante dalla gelida aria che soffiava da nord; per fortuna la mancanza di precipitazioni piovose o nevose rendeva la vacanza più fruibile.

 — Silvano, che ne dici di andare al Casinò?

 — Vittorio, non mi è mai piaciuto rischiare ad un Casinò.

 — Eccolo, lui! Sempre così morigerato, sobrio, contenuto. Ma per una volta almeno, rilassati!! Fa’ qualcosa di spropositato e di inusitato. Prenditi una sbornia, azzarda alla roulette, vai a puttane, prova il parapendio, fa’ bungy jumping, sali su una mongolfiera! Una volta, nella tua vita!

 E con un tono di incoraggiamento incalzò:

 — Dai, dai, dobbiamo andare subito a giocare al Casinò. E non bofonchiare. Al Casinò, ho detto!

 — Stamattina?

 — Assolutamente sì!

 — E perché proprio di mattina?

 — Ascolta: da quando siamo partiti sono perseguitato dal numero undici. Rammenti che in aereo ero al posto 22? Doppio di 11! E l’hostess mi portò accanto a te. E dove mi ritrovo? All’11, A. La mia camera d’albergo che numero è? 119, cioè un 11 iniziale e 11 è la somma delle tre cifre. E il numero del bus hop-on hop-off di ieri? 47: somma le due cifre e cosa ottieni? Quanto hai pagato il tassista ieri sera? 29 euro, e la somma è sempre 11!

 — Vittorio, hai davvero una fervida fantasia.

 — Fantasia? No, è realtà! In che mese siamo? Novembre, l’undicesimo mese! E oggi che giorno è? 11! Da quanti anni lavoriamo per l’azienda? Tra poco finiremo il nostro undicesimo anno. E ieri sera, manco a farlo apposta, arrivato in camera che ti vedo in TV? Ocean’s Eleven!

 Vittorio continuò con un’aria che non ammetteva repliche:

 — Troppi segni premonitori. Oggi giocheremo al Casinò. E alle ore 11.11 esatte punterò 1.100 euro sul numero 11!

Millecento euro costituivano quasi l’intera somma destinata alle spese comuni. A Silvano non andava giù di rischiare tutto su un numero e cercava ogni possibile soluzione per distogliere l’amico dall’idea espressa.

— Beh, anziché giocare tutto su un numero secco, potresti provare Black Jack. Anche lì l’11 è vincita. E avresti più possibilità di vittoria.

— No, no. Black Jack ha a che fare con le carte; devi prendere delle decisioni, sei legato anche a scelte altrui. No, no. Niente da fare. 11 secco alla roulette, alle ore 11.11.

Disse tutto con tale fermezza che a Silvano venne davvero difficile smontare l’amico.

— Dai, dai, svelto! Dobbiamo andare in taxi se vogliamo essere in tempo per giocare. Non possiamo prendere i mezzi pubblici. Stamattina – hai sentito? – sono in sciopero gli operatori. Un ritardo sarebbe fatale.

Il 3152 arrivò pressoché immediatamente e i due si avviarono al Casinò dello Sheraton.

— Silvano, taxi 3152. Cosa ti dice questo numero? Prova a sommare le cifre! E poi mi vuoi dire che non devo credere ai segni?

Dopo pochi minuti erano già pronti, accanto al tavolo della roulette. Anzi, ai due tavoli attigui. Fiche in mano, Vittorio era pronto a puntare sull’11 al primo tavolo dei due che si fosse liberato per le 11.11.

Il momento tanto atteso arrivò. Trepidazione e ansia erano molto visibili sul viso di entrambi e Vittorio non poteva tenere a freno il tremore del mento e del labbro inferiore. Gli occhi puntati sulla pallina dopo che il croupier fermò le puntate col rituale: Les jeux son faits; rien ne va plus. Pochi secondi di tensione e la pallina rallentò la corsa. Vittorio chiuse gli occhi; sentì il tonfo della pallina nel settore numerico segnato dalla fortuna. La ruota fermò il suo giro e poi le parole del croupier:

Onze, noir, impair, manque.

Vittorio assaporò il bacio della fortuna e sentì le labbra della Dea bendata poggiarsi sulla sua fronte madida di sudore. A stento frenò il suo entusiasmo. Con movimenti gelidi, ma avidi, raccolse i 38.500 euro in fiche, si avviò lesto alla cassa e poi fu una volata verso l’uscita. Ce l’aveva fatta! Ora poteva gridarlo ai quattro venti. La sua euforia non aveva più freni inibitori. Regalò un centone al busker che si esibiva accanto all’ingresso del Casinò; depositò un’altra banconota nel taschino del concierge dello Sheraton. Si avviò alla fermata del bus, distribuì altre banconote ai tre bimbi di una giovane mamma in attesa e subito dopo visionò l’orario del bus che li avrebbe ricondotti al loro albergo.

— Peccato, è passato da qualche minuto – disse a Vittorio che, in tutto quel frangente, aveva seguito, anzi inseguito l’amico nelle sue evoluzioni di irrefrenabile felicità.

— No, non possiamo attendere.

La frenesia di Vittorio era incontenibile. Un repentino dietrofront; un salto giù dal marciapiede per richiamare l’attenzione del taxi nella corsia di fronte e… Silvano si voltò di scatto udendo la frenata, lo scontro e poi il tonfo. A una spanna dal corpo inanime di Vittorio, il 74 coi suoi 11 minuti di ritardo.